Le tre vecchie

dall’opera omonima di Alejandro Jodorowsky

Con Rossana Candellori, Romana Romandini, Silvia Maria Speri, Elisa Maestri

 

Scene, Luci ed Effetti Video Pietro Cardarelli

 

Costumi Marilena Cinciripini

 

Maschere Anna Sances

 

Scenotecnica Tommaso Tosti

 

Regia ed Elaborazione Drammaturgica Alessandro Marinelli

Le vecchie contesse De Felice, nobili gemelle decadute, sono affette da un grave disturbo psichico: rimuovono sistematicamente il loro misterioso passato, lo distorcono, s’imbellettano come fanciulle in fiore nella speranza di attrarre spasimanti che le salvino dalla miseria e che le rendano madri, senza alcun pensiero alla sterilità anagrafica in cui sono ormai confinate. Paradossalmente, ora che la vecchiaia le ha ormai divorate, nei loro corpi appassiti rinverdiscono le tensioni sessuali della giovinezza, il loro essere brama l’irruenza del corpo maschile, la loro carne risente la morsa d’un piacere malato, consumato anni addietro in modo aberrante, nel perimetro angusto delle mura domestiche. Sono creature che vivono ai margini queste contesse, larve reiette, schernite ed estromesse da un mondo che non sa comprendere.
Osservandole, mi tornano alla memoria le parole con cui Pirandello descriveva il sentimento del contrario: “Vorremmo ridere, ma il riso non ci viene alle labbra schietto e facile; sentiamo che qualcosa ce lo turba e ce l’ostacola; è un senso di commiserazione, di pena e anche d’ammirazione”.

E infatti, mentre l’intreccio procede in costante bilico tra la pochade e il Grand Guignol, avvertiamo il peso d’un dolore insopportabile, d’uno strazio lacerante e impossibile da cancellare. Avvertiamo l’abisso. Ed è appunto l’abisso ciò che più m’interessa indagare, l’orrore da cui origina una devianza, la genesi d’un comportamento non allineato. Perché oggi – come ieri – ciò che è diverso è spesso demonizzato. Invece, prima d’ogni altra cosa, ciò che è diverso dovrebbe essere compreso.